In un bel pomeriggio di ottobre nel 2019 ho ammirato la luce dorata che inondava tutta la stanza che si affaccia su Via Leonardo Da Vinci, si trasformava ma non perdeva forza nemmeno entrando dalla porta che conduce all’ingresso di entrata, il grande raggio giallo effetto campitura sfumava in tante stelline che spezzavano un quadrato d’ombra, quell’ombra che confina con la macchinetta del caffè.
E’ stato proprio in quel momento, che, alzando lo sguardo sopra la suddetta macchinetta ho visto la grande foto del Dottor Luigi Lapi, sorridente accanto ad una grande candela bianca che sembra dire “Buonasera! Ti ascolto!!”.
Interessante fatto quello di mettere una foto o un quadro sopra la macchina del caffè, meglio dei consueti cartelli “vietato fumare”, “bagno in fondo a destra” oppure “usare l’estintore solo in caso di incendio”.
Quella pausa caffè mi regalava un inedito momento di silenzio mentre ero alle prese con il programma di anatomia, mancava poco più di un mese all’esame del primo anno, nel silenzio la mente si rigenera. Se adesso provo a ricordare quel momento non c’era silenzio, ma delle voci in sottofondo che accompagnavano come strumenti ben accordati quel momento e lo hanno così riempito di senso come quando si attende qualcuno o quando si costruisce qualcosa.
Fino a quel momento avevo sentito raccontare che Il dottor Lapi aveva condotto lunghi studi sulle tecniche energetiche, alcuni studiosi si erano radunati attorno a lui dando vita ad una scuola di pranoterapia.
Mi chiedevo come poteva un medico avere interesse per queste discipline così lontane dal suo mondo, come poteva conciliarle con il rigore dei protocolli, con i farmaci con o senza prescrizione medica.
Dopo quasi un anno che mi ponevo queste domande prevalse in me una curiosa applicazione del principio di maggioranza: i docenti in buona parte non erano medici, quindi la pranopratica non era materia per i medici.
Tuttavia congelai, non liquidai, l’intrigante questione del medico che diventa studioso e praticante di pranoterapia. Poco prima del Natale 2021 è stato ripubblicato “Effetto Prana” scritto dal buon dottor Lapi prematuramente scomparso nel 1994.
La copertina riproduce le immagini di due mani umane così come le conosciamo dal celebre dipinto di Michelangelo, in questo contesto non sappiamo se esista una divinità, ciascuno è libero di trovare una risposta, il mistero non può svelarsi completamente in questa dimensione terrena. Due mani di due soggetti diversi: l’operatore ed il ricevente che compongono la relazione d’aiuto.
La copertina di questo libro sembra voler rompere quella solitudine che è nata con l’uomo, la relazione d’aiuto che si esprime nel trattamento pranopratico interrompe quel senso di separazione e di incomunicabilità che spesso caratterizza l’esistenza.
La luce bianca che circonda gli indici si espande ben oltre e cambia colore attraverso molte sfumature di rosa, di celeste, viola pastello fino al blu della notte. La luce bianca non è però collocata nel centro della pagina, ha una forma irregolare che però non impedisce di distinguere un sopra il cielo e sotto, mentre scende come una cascata d’acqua verso l’altro polo della vita, la terra.
Il libro non è una biografia di Luigi Lapi ma adesso è arrivato il momento di rispondere a quella domanda sorta due anni fa davanti alla macchinetta del caffè, chi era? Le persone si rivelano attraverso le loro opere, i loro scritti, in questi tre anni è apparso attraverso le citazioni dei docenti “il dottor Lapi diceva” “Il dottor Lapi ci ha insegnato che” ma nulla che parlasse della sua formazione, in quale contesto fosse nato e cresciuto, forse per quel naturale riserbo che cala sui trapassati, quasi come se temessimo di svegliare con la nostra voce il loro sonno.
Ecco che a pagina 70 si apre uno spiraglio: “Nel lontano 1927, in una villa che avevamo a Trana dovemmo chiamare un rabdomante per cercare l’acqua in un terreno ostinatamente roccioso. L’allora seienne sottoscritto sentì l’impellente bisogno di emulare il tizietto”. Dunque il buon dottore era coevo di mia nonna, aveva anche lui vissuto quell’universo sociale in cui le guaritrici, spesso anziane donne di campagna pronunciavano giaculatorie incomprensibili sull’addome di bambini afflitti da bachi intestinali, oppure sempre con formule misteriose con una spiga di grano facevano uscire dai seni gonfi delle partorienti un liquido biancastro che procurava dolorose infiammazioni.
Negli anni della seconda guerra mondiale apparvero o forse riapparvero i sacerdoti sensitivi, a pagina 68 si parla di Don Castelli, priore di Bivigliano, il quale attraverso un ciuffo di capelli, un indumento del disperso o una fotografia sulla quale faceva girare un pendolo “aveva il coraggio di descrivere persino il tipo di lesione riportata dal soldato su questo o su quell’altro fronte o indicare il punto esatto in cui era inumata la salma”. Un altro ricordo in comune con la mia nonna materna che assieme a tante altre donne si era recata da un parroco il quale attraverso i movimenti del pendolo sulla foto del fratello disse che era vivo ma malato a causa di un lungo viaggio. Nel Natale del 1944, dopo quattro anni di silenzio seppero che era prigioniero in India ed aveva contratto la febbre nel lungo viaggio iniziato nel deserto libico quando il suo aereo era stato abbattuto dagli inglesi, sarebbe tornato in Italia nel 1946.
Strano gioco del destino, o forse non era un caso, il clero che aveva perseguitato e ucciso nei secoli donne con talenti straordinari di guarigione e di veggenza si trovava ad ospitare al suo interno sacerdoti ai quali erano stati fatti gli stessi doni, che ricevevano tante persone disperate, tante donne rimaste sole con dozzine di figli da crescere e, cosa non da poco, non erano accusati né dagli ordini di appartenenza né dalla giustizia secolare. Dunque rabdomanti, guaritrici, preti radioestesisti avevano fatto parte della infanzia e della prima giovinezza di Luigi Lapi, prima che si iscrivesse alla Facoltà di medicina.
Mi chiedo adesso cosa incontrerò nella lettura, ci sarà una crisi di coscienza del dottore? Oppure coltiverà il suo interesse per le pratiche energetiche ammantandolo con sensi di colpa come si fa con un’amante? A pagina 12 è interessante il titolo del paragrafo “Dubbi” sarà un espediente letterario per stuzzicare l’interesse del lettore oppure è il segno di una incrinatura nel convincimento, si pentirà di aver studiato medicina? Poco dopo c’è una constatazione: “la medicina ortodossa si è venuta a trovare sul banco degli accusati mentre – sorniona – l’altra medicina in agguato da tanto si fa strada con un sorriso accattivante”. Più avanti si prosegue sulla linea del disincanto: “l’antica e nobile figura del medico di famiglia un po’ scienziato un po’ stregone, è stata pazientemente demolita dalla fredda aridità delle strutture socio-sanitarie, più idonee a creare posti di lavoro che alla gestione della salute pubblica”. In realtà queste non sono premesse di polemiche o di cambi di casacca, il buon dottore non si limita a guardare il materiale il presente, non accennerà mai ad una divisione tra sapere tecnico e scientifico, tra scienze sociali e naturali che invece riempiono ossessivamente programmi scolastici, convegni, dipartimenti e biblioteche. A pagina 16, senza colpi di scena arriva la risposta “Perché – dirà qualcuno – mi compiaccio in questo a-dogmatismo, in questa tendenza all’eresia? Perché solo essendo a-dogmatici si può essere liberi di giudicare e di esporre”. Luigi Lapi ha scelto la strada più affascinante: la libertà, quella stessa libertà che gli fa affermare che la pranoterapia “è la forma più antica di medicina naturale”. Oggi questa frase potrebbe produrre una scrollata di spalle, una risata di scherno ed infine una denuncia.
Ma come viene introdotta la pranoterapia? Attraverso la definizione di arte sciamanica, ma chi è lo sciamano? “E’ colui che intrattiene con gli spiriti un rapporto di quasi parità per cui il linguaggio convenzionale per invocare o per fugare è abbastanza semplice, ma è frutto di un apprendistato nel quale viene appreso il modus sentiendi, il modus operandi ed il modus-agendi-loquendi, perché il primitivo – molto giustamente – da massima importanza a quegli aspetti quasi subliminari del tutto ignoti alla nostra cultura”. Se dunque poniamo lo sciamano come pietra miliare “l’uomo-medicina non è un tecnico specialistico del curare, ma accomuna al fattore terapeutico quello, forse più importante di tramite tra le forze della natura ed il mondo degli uomini”. Ma come ho già constato non si rinnega il sapere medico: “ i nostri terapeuti alternativi rifiutano tirocini e pratiche iniziatiche e si illudono di poter curare senza un minimo di preparazione anatomo-fisiopatologica”.
Questa è la matrice, punti cardinali all’interno dei quali tutti coloro che si iscrivono alla scuola Alaro sono tenuti a rispettare: nozioni di anatomia e coltivazione dell’ascolto, di quell’ascolto che è e sarà fondamentale per capire come aiutare i clienti che esprimono in modo confuso e contraddittorio i loro problemi.
Le pratiche energetiche non possono vivere esclusivamente nella mente delle persone, per quanto dotte possano essere, si manifestano in un ambiente naturale, sociale e culturale.
Il dottor Lapi era rimasto colpito da un articolo di Richard Katz apparso sulla rivista “Psicologia Contemporanea” nel quale si parla di una popolazione dell’Africa australe i !Kunga che vivono in Botswana, nel deserto del Kahlari in una cornice climatica e ambientale molto ostile. Date le avverse condizioni ambientali i componenti di questa popolazione mettono in comune i prodotti della caccia e della raccolta, una vera rarità se pensiamo al nostro mondo “civilizzato” dove tante povertà si originano proprio dall’isolamento, dal senso di ostilità e di paura che si diffonde incontrollato tra le persone. “I !Kunga hanno elaborato una dimensione comunitaria particolare che si esprime nelle danze di guarigione alle quali tutta la popolazione partecipa”. In questo contesto la parola guarigione assume un significato amplissimo: guarigione di malattie e disagi del singolo individuo ma anche lacerazioni del tessuto sociale come liti tra i villaggi sulla distribuzione del cibo.
Protagonisti della cerimonia sono uno o due guaritori assistiti da un gruppo di danzatrici che contribuiscono alla validazione del rito. Ai margini del villaggio il resto degli abitanti, riunito intorno a piccoli fuochi sostiene con il pensiero l’intento di guarigione.
Ma la danza rituale è un mezzo oppure un fine? E’ il mezzo per attivare il num dei guaritori che si può tradurre come forza vitale, capacità energetica, desiderio di aiutare gli altri, curioso è notare che il num sale lungo la colonna vertebrale del guaritore, lungo la linea di collegamento tra la terra ed il cielo.
Quando il num arriva alla base del cranio il guaritore entra in uno stato di trascendenza, di allocoscienza chiamato !Kia per poter curare malattie e sanare liti. Anche per l’operatore olistico nostrano il potenziale energetico ha un carattere dinamico, dal cervello scende attraverso le braccia per poi uscire dalle mani attraverso le chirofrequenze.
La questione se un medico può essere uomo-medicina attraverso l’incontro e l’integrazione con lo sciamanesimo è sicuramente affascinante e il Dottor Lapi nella sua vita terrena ha dato una testimonianza significativa. Per le molte persone che dopo di lui sono sbarcate alla Associazione Alaro il panorama è stato ed è radicalmente diverso. La medicina tradizionale ha alzato degli imponenti steccati di difesa contro l’universo olistico, in parte per la numerosa presenza di ciarlatani in questo settore, in parte perché l’antico guaritore, chiamato “mag” il potente, suscitava e suscita timore. Tutta una serie di divieti legislativi ci impongono, a pena di denuncia penale di non usare parole come “guarigione”, “cura”, “terapia” “diagnosi”, in molte trasmissioni si è parlato dei misfatti compiuti dagli operatori dell’occulto, formula omnicomprensiva che nell’opinione pubblica degli anni ottanta raccoglieva cartomanti, medium e purtroppo anche operatori seri che volevano semplicemente aiutare gli altri. Ad ogni modo nella società si è affermata l’esigenza della ricerca di una felicità non effimera, non più legata ai beni materiali quindi le discipline olistiche hanno conosciuto negli anni Novanta uno sviluppo prodigioso mentre parimenti la medicina ufficiale ha sempre più perso fiducia e credibilità in una demolizione rovinosa che arreca danno alla società intera e quindi anche a noi operatori olistici che talvolta ci vediamo investiti di questioni relative all’ambito medico. Sono stati aperti studi, corsi, convegni e festival dedicati al cranio-sacrale, alla naturopatia e anche alla nostra cara pranopratica già pranoterapia, si organizzano soggiorni e vacanze nella quale si ricerca un contatto con la natura e tutto questo è un bene. Tuttavia la complessità dei bisogni dell’uomo non si è affatto attenuata, piccoli malesseri fisici come pruriti occasionali, emicranie intermittenti possono essere segni di un passato di abusi familiari, le droghe non sono più assunte soltanto dagli artisti e dai cantanti ma anche da impiegati di banca che non sanno più come arginare lo stress: l’operatore del prana molto più che in passato deve avere grande capacità di ascolto per capire chi è il cliente davanti a lui e, di conseguenza come poterlo aiutare.
Adesso vedo davanti a me un grande prato verde come tanti se ne trovano qui ad Assisi, l’erba è alta e verde brillante, mi ricorda quella dei boschi di San Cornelio violati da innumerevoli riti satanici nella Arezzo degli anni Ottanta. Una bellezza sfregiata che chiedeva aiuto a San Cornelio e la bellezza riparatrice e confortante di Assisi, due facce della stessa medaglia e quindi qualcuno mi suggerisce che è possibile tornare a quella unità primigenia oppure la vita e quindi l’energia stessa è un incontro di forze contrastanti?
La parola “dubbio” apre la narrazione di “Effetto Prana”, se scegliamo di essere a-dogmatici come il dottor Lapi ci ha insegnato la risposta possiamo trovarla solo camminando.
Spero di non avervi annoiato
Maria Grazia Scapecchi