La mummificazione
La mummificazione è il primo passaggio, la prima verifica, anche se questo termine, anche se molto simpatico, può creare qualche perplessità.
Il dottor Lapi la chiama, il primo compito dell’apprendista pranoterapeuta.
E’ una pratica che si applica su materiale organico: potete scegliere tra il classico fegato animale (pollo ad esempio) oppure un uovo aperto su un piattino, un limone o una arancia.
In cosa consiste l’esperimento: in emanare prana sull’oggetto prescelto per 10 minuti al giorno per 10 giorni, anche se sicuramente il processo si avvia anche prima.
Cosa succede?
Il materiale organico che state pranizzando,
nonostante sia a temperatura ambiente,
non subisce un deperimento organico ma si mantiene inalterato.
Perdendo i 4/5 dei suoi liquidi, va in uno stato di secchezza e di sterilità che ne permette la conservazione per un tempo ad oggi pare indeterminato.
Inoltre, quando queste mummificazioni vengono reidratate, non perdono queste caratteristiche ma le mantengono, senza degenerare, e poi ritornano nello stato mummificato: una trasformazione quindi dello stato della materia.
Il dottor Lapi si chiedeva il motivo di questa trasformazione che sembra impossibile ma in effetti avviene e non si può dire che non sia vero, è solo inspiegato dalla scienza.
Possibile che l’energia che esce dalle mani vada a bloccare la vitalità delle forme patogene andando a sostegno della forma nel suo complesso, della sua integrità
a discapito dei suoi aggressori?
La pratica
La pratica è molto semplice:
prendete un fegato non troppo grande,
un uovo aperto su un piattino,
oppure un limone o una arancia intera.
Se volete, come termine di paragone,
mettete in un’altra stanza la stessa cosa ma senza pranizzarla.
Ponete le mani a circa 10 cm di distanza,
immaginando che da queste esca luce e calore
e irradi l’oggetto, riempia l’oggetto.
Questo per 10 minuti per 10 giorni.
A seconda della capacità del pranoterapeuta questo processo può essere più o meno rapido.
E’ un capacità particolare: il dottor Lapi consigliava di non abusare di questa capacità
per un semplice principio precauzionale,
non essendo utile alla disciplina, ma solo una simpatica verifica dell’effettiva presenza di un “qualcosa” che esce dalle nostre mani,
diversamente dalla pranoterapia che invece è molto ben sperimentata.